SUL DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE PER I PERIODI NON LAVORATIVI TRA UN RAPPORTO DI LAVORO A TERMINE E IL SUCCESSIVO
Nel caso di trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione del termine, gli “intervalli non lavorati” fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile per effettuarla, non implicano diritto alla retribuzione.
Il principio, a maggior ragione opera nell’impiego pubblico contrattualizzato, nel quale la giuridica impossibilità di conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato comporta che nessuna pretesa retributiva possa essere avanzata dal lavoratore per i periodi di inattività, in relazione ai quali è ipotizzabile solo un risarcimento del danno
La sentenza in questione ha affermato un importante principio secondo cui «nel caso di trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione del termine (o, comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della legge 18 aprile 1962 n. 230), gli “intervalli non lavorati” fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile per effettuarla, non implicano diritto alla retribuzione, in carenza di una deroga al principio generale secondo cui tale retribuzione postula la prestazione lavorativa, e nemmeno sono computabili come periodi di servizio, al fine del calcolo dell’indennità di anzianità, considerato che la suddetta riunificazione in un solo rapporto, operando ex post, non tocca la mancanza di un effettivo servizio negli spazi temporali fra contratti a tempo determinato»
Tale principio è ormai pienamente affermato nel campo dei rapporti di diritto privato (cfr. Cass. n. 7049/2019).
Nell’impiego pubblico contrattualizzato, poi, tale principio trova ancor di più la sua giustificazione, in quanto in tale contesto, il lavoratore non può avanzare alcuna pretesa retributiva per i periodi di inattività vista l’impossibilità ex lege di convertire i rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato, in relazione ai quali è ipotizzabile solo un risarcimento del danno.
Si aggiunga poi , che peraltro, sulla base delle argomentazioni esposte da Cass. S.U. n. 5072/2016, non consiste nella perdita del posto di lavoro nel periodo intermedio giacché, una volta venuto a scadenza il contratto, non è configurabile un diritto soggettivo del lavoratore alla prosecuzione dello stesso.
Commento a cura dell’avv. Giovanni Maria Rotondano, Specialista Universitario in Diritto del Lavoro e delle relazioni sindacali